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Emilio Tadini, uno degli artisti più complessi e più completi del nostro tempo, si è da sempre avvicinato alla pittura con uno spirito del tutto personale. Sin dagli esordi infatti, avvenuti negli anni `60, la sua figurazione appare piuttosto distante dalla maggior parte delle esperienze che in quegli anni caratterizzano il panorama artistico italiano.
Tadini sembra aspirare ad una rappresentazione che sappia creare un linguaggio in grado di trascendere la pura pittoricità per diventare racconto, narrazione, letteratura.
Le sue tele descrivono la realtà non più attraverso la “mimesi”, ma attraverso la trasfigurazione simbolica, frutto di una ricerca che non è più semplicemente pittorica (legata quindi alla forma, alla materia, al colore) ma filosofica. L'arte diviene lo strumento attraverso il quale poter sviscerare l'essenza delle proprie riflessioni sul mondo e della propria rielaborazione dell’oggettività.
L’artista infatti scrive: “Mito e fiaba non distraggono dal mondo. Con il mondo ci impegnano, e strettamente. E' un po' come se il mondo parlasse…. E noi, in ascolto, ci si rendesse conto che quella lingua in cui il mondo ci si presenta non è una lingua straniera, che noi, quella lingua, la possiamo capire."
Ecco quindi che una pittura apparentemente semplice, immediata, fiabesca, è in realtà una pittura complessa. Tadini non ci regala fascinazioni cromatiche o formali, ma racconti di un mondo sempre meno in equilibrio, sempre più privo di coordinate essenziali, sempre più in bilico. Un mondo da capire, comprendere, penetrare nelle sue funamboliche incoerenze.
E' proprio questa inchiesta sul senso che sfugge che Tadini cerca di tradurre in immagini. Il loro fascino scaturisce dalla ricerca che attraversa le sue opere permeandole di un lessico che rappresenta la bruciante realtà con i toni lirici e l'incanto della fiaba, diventando letterario, oltre che simbolico.
CRISTINA PALMIERI